Il Credo della tribù eletta dagli Dei, si differenzia fondamentalmente dalla falsa fede dei barbari bianchi. Essi adorano la proprietà, la ricchezza ed il potere come un Dio e pensano che nessun sacrificio sia troppo grande pur di avere più del proprio vicino; invece i nostri Dei ci hanno insegnato come vivere e come morire. C'insegnarono che il corpo nasce e perisce, trasformato giorno dopo giorno dall'alimentazione e, per questa ragione, non può rappresentare la nostra vera vita. I nostri sensi dipendono dal nostro corpo, e sono portati da lui come la fiamma di una candela: quando la candela si spegne anche i sensi si spengono, perciò anche loro non possono rappresentare la vita Reale. Il nostro corpo, quanto i nostri sensi, sono soggetti al tempo, nel tempo mutano e solo
Il vero Io, l'Essenza, è al di fuori del tempo. E' immortale. Dopo la morte del corpo ritorna da dove era venuto: come il fuoco usa la candela per rendersi visibile, così l'Io usa il corpo per rendere visibile la sua vita. Dopo la morte, il vero Io, ritorna al principio del tempo, all'origine del mondo, nel grembo dell'Assoluto, nell'Eternità.
L'uomo fa parte di un immenso e misterioso disegno cosmico che si svolge nei cieli, diretto da una legge eterna; i nostri Primi Maestri conoscevano questa legge e ci insegnarono i segreti della seconda vita, che la morte del corpo è insignificante e che solo l'immortalità dell'Io è importante, libero dalla materia e dal tempo.
Alla metà dell'undicesimo millennio, intorno al 600 d.C., per il vostro calendario, l'impero degli Ugha Moungulala superò il suo zenit. Le tribù selvagge espugnavano le fortezze di frontiera, vi erano rivolte nelle tribù alleate, l'avvento sempre più incalzante dei barbari bianchi, e gli Incas, antichi fratelli oramai divenuti dei nemici idolatri, giunsero fino alle mura di Akakor; ma ecco che, ancora una volta, quando più lo necessitavamo, una notizia giunse a noi: strani valorosi guerrieri stavano risalendo impetuosamente il Grande Fiume, con le loro mogli e figli, alla ricerca dei loro Dei. Fu cosi' che giunsero a noi i Goti.
Essi erano i discendenti di Samon, che atterrò migliaia d'anni prima sulle rive del Nilo, ed anche loro erano, quindi, nostri fratelli, figli dei principi del Cielo. Il loro capo, Cacciatore Selvaggio, era saggio e coraggioso: quando tutto sembrava finito per loro dopo millenni della loro storia a causa di un massiccio attacco di uno straordinario popolo, i Vichinghi, egli li salvò, stringendo all'ultimo un' alleanza che, tuttavia, li costrinse a partire; così navigarono per trenta lune all'affannosa ricerca delle loro origini; esplorarono tutti gli angoli del pianeta, finchè ci trovarono nel 570 d.C.
I Goti erano oltre mille, soldati esperti, ed abilissimi agricoltori e tessitori. Ci insegnarono l'utilizzo del Ferro, metallo a noi, che lavoravamo solo oro argento e bronzo,sconosciuto. Grazie alle corazze così ottenute, sgominammo gli avversari, e grazie all'uso intensivo di nuove sementi e tecniche di coltivazione, il nostro impero rifiorì.
La pace durò quasi mille anni dal 570 d.C., dove solo noi e i discendenti di Viracocha il figlio ribelle degenerato, gli Incas, avevamo diviso il territorio, ed in pace ed armonia governavamo, anche se solo da noi vigevano le leggi lasciateci dai Principi Celesti.
Nel 1531 d.C. giunsero notizie di un popolo con la barba che navigava su grandi battelli, alti, bianchi, forti e poderosi come Dei; pensammo ad un loro ritorno ed organizzammo fuochi festosi, la gioia si diffuse ovunque, gli Dei erano tornati! Fu un crudele inganno, i barbari bianchi come ancora oggi li chiamiamo, distrussero l'impero degli Incas, uccisero uomini donne e bambini a milioni, eressero templi con la croce.
I giorno terribili cominciarono, quando il Sole e
Cinque anni dopo il loro arrivo l'impero Inca era in rovina, pochi sopravvissero, alcuni furono fatti schiavi, ed altri scapparono nella foresta trovando rifugio da noi, fra le nostre mura; ma un giorno gli Spagnoli, così venivano chiamati i barbari, seppero di noi popolo eletto e vennero a cercarci. Il Principe Umo ed i più vecchi del consiglio decisero la ritirata, per quanto molti furono di parere contrario. Le città di frontiera vennero distrutte, ed anche Machu Pichu, la città sacra di Lhasa, venne abbandonata; file di portatori trasportarono per i ripidi passaggi delle montagne, gioielli, offerte, oggetti preziosi e tutte le provviste ad Akakor, tutte le entrate alla città vennero accuratamente nascoste e bloccate da pietre enormi.
Molti bianchi tentarono di avvicinarsi ad Akakor ma tantissimi di loro morirono a causa delle frecce avvelenate delle tribù alleate e per le malattie contratte nella Foresta. Solo un gruppo raggiunse i dintorni della capitale; sul monte Akai, a tre ore di distanza a piedi da Akakor, si svolse una memorabile battaglia, che si protrasse per molto tempo. Un giorno, infine, un' imboscata al nemico li costrinse alla resa, molto di loro perirono, ma alcuni vennero incatenati e condotti in città, dove venivano guardati con un misto di orrore, reverenza e disprezzo. Il Sommo Sacerdote parlò loro domandando il motivo di così tanto sangue e violenza, ma il cuore dei barbari bianchi era troppo duro per comprendere, ed impiegarono molto tempo prima di capire la loro sorte: lavorare incatenati nelle miniere d'oro e di argento, fino alla fine dei loro giorni.
Articolo di Maurizio Rucco.
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