martedì 20 settembre 2011

La Cronaca di Akakor - parte VI - di Maurizio Rucco

La Cronaca di Akakor è la storia degli Ugha Mongulala, come i nostri Primi Maestri discesi dal Cielo chiamarono il mio popolo. Tramite la Cronaca, viene rivelato ciò che per i barbari bianchi è nascosto e misterioso: il periodo in cui gli Dei erano sulla Terra, le dimore sotterranee lasciateci da Loro, le gesta di Ina il primo principe e diretto discendente, l'impero di Lhasa loro figlio, le grandi catastrofi, l'arrivo dei Goti con le loro navi, il declino dell'impero, l'alleanza con i tedeschi.

Le schermaglie tra noi ed i bianchi continuavano incessantemente, anche se rare erano le grandi battaglie. Una avvenne nel 1936 d.C., quando una spedizione uccise tutta la tribù alleata dei Cuori Neri e ne saccheggiò le tombe in cerca d'oro; il nostro popolo gridò vendetta ed il principe Sinkaia si mise alla testa degli Ugha Moungulala e con guerrieri scelti attaccammo un villaggio di bianchi chiamato Santa Maria; uccidemmo tutti, solo tre donne scamparono all'attacco e furono fatte prigioniere, ma tre di esse annegarono nel fiume tentando di scappare. Reinha la donna rimasta viva, veniva da un paese lontano chiamato Germania, portata dai suoi capi per convertire le tribù degenerate al simbolo della croce; subito si guadagnò la fiducia della mia gente, aiutando i feriti e discorrendo con i sacerdoti per scambiare informazioni sul testamento dei Maestri. Il principe Sinkaia, primogenito di Uma discendente di Lhasa figlio degli Dei, la osservava con attenzione, nutrendo un forte affetto per lei, finchè lei saputo ciò, rinunciò alla croce, per diventare Principessa. Nel 1937 Reinha diede un figlio a Sinkaia, e nacqui io Tatunca Nara, il primogenito. Quattro anni dopo Lei tornò a casa, prese accordi ad Est, sull'Oceano, e con una nave partì come nostra ambasciatrice; dopo ventidue lune tornò con tre capi del suo popolo e concordammo un patto: la tribù moriva di fame sotto i colpi dei bianchi, ma i tedeschi promisero di tornare con un esercito armato con l'intento di sgominare tutti i nostri nemici, ed a quel punto loro si sarebbero tenuti tutte le città costiere e noi tutte le regioni del Grande Fiume, un tempo nostre. Tornammo allegri e facemmo grandi feste, animati dalla speranza dataci. Tra il 1941 ed il 1945 continuarono ad affluire soldati tedeschi: si imbarcavano in una città chiamata Marsiglia, ed a bordo di una nave che si muoveva sott'acqua giungevano alla foce del Grande Fiume, dove li aspettavano i nostri alleati che li accompagnavano da noi tra il Brasile ed il Perù, dopo un viaggio che durava circa cinque lune. Portavano con loro armi che maneggiammo per la prima volta, cannoni, fucili, pistole, granate, e strane tecnologie come barche gonfiabili, case di plastica, occhiali per vedere da lontano, strani gas mortali.

Ci preparammo per il grande attacco finale, fiduciosi che dal mare un impressionante legione di tedeschi alleati ci avrebbe supportato: eravamo dodicimila pronti a tutto. Ma l'ordine di attacco non venne mai dato, giunse un ultimo gruppo di tedeschi con tristi notizie, essi avevano perso!

Forze immani avevano distrutto il loro paese e nessuno sarebbe venuto ad aiutarci.

Ci ritirammo, ma dovemmo decidere che fare dei soldati tedeschi che non avrebbero mai più potuto tornare a casa.

Essi non conoscevano il Testamento degli Dei, non comprendevano la nostra lingua, né la nostra scrittura. Infine Reinha ebbe la meglio al Gran Consiglio, impose la sua volontà, e, come i Goti 1500 anni prima, divennero parte integrante del mio popolo.

I Sacerdoti fecero un ottimo lavoro, unirono i simboli della scrittura dei nostri Padri, con le lettere dei soldati, ed adottarono alcuni vocaboli della loro lingua, così in breve la comunicazione non fu un ostacolo utilizzando la nuova lingua tedesco/quechua; inoltre per facilitarne l'integrazione, ad alcuni dei loro capi vennero affidate alte cariche amministrative.

Essi ci cambiarono la vita, usando il legno per fare letti tavoli e sedie, migliorarono i nostri telai insegnando alle donne a tessere nuovi abiti coprenti tutto il corpo, disboscarono due valli e vi piantarono patate e grano, allevarono grandi mandrie di pecore, e, più importante, formarono le loro famiglie dando ai loro figli, come nostra tradizione, nomi di animali selvaggi, di forti alberi, di torrenti veloci, di alte montagne.

Facevano sempre e bene il loro dovere.

Alla fine di ogni Luna, si riunivano per una festa sulla cima del Monte Akai, cantavano canzoni della loro terra e bevendo il succo di mais fermentato si cimentavano in tornei di un gioco chiamato Scacchi, facendo festa fino a notte fonda, per poi tornare in piena serenità alle loro abitazioni e riprendere la vita con le loro famiglie.

Articolo di Maurizio Rucco.


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